Il Giorno del Ricordo.

evento

10 Febbraio 2021

Ricordo

Cos'è

Il 10 febbraio: il Giorno del Ricordo.

 

  • Con la Legge 30 marzo 2004 n. 92, «La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale Giorno del Ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».
  • La data del 10 Febbraio è stata scelta per ricordare il giorno in cui a Parigi, nel 1947, venne firmato il Trattato di pace in conseguenza del quale venne sancita la cessione di buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito, cui seguì l’abbandono di numerose città della sponda orientale da parte degli esuli italiani.

 

Il messaggio del Presidente Mattarella (9 febbraio 2020).

Alle vittime di quella persecuzione, ai profughi, ai loro discendenti, rivolgo un pensiero commosso e partecipe. La loro angoscia e le loro sofferenze non dovranno essere mai dimenticate. Esse restano un monito perenne contro le ideologie e i regimi totalitari che, in nome della superiorità dello Stato, del partito o di un presunto e malinteso ideale, opprimono i cittadini, schiacciano le minoranze e negano i diritti fondamentali della persona. E ci rafforzano nei nostri propositi di difendere e rafforzare gli istituti della democrazia e di promuovere la pace e la collaborazione internazionale, che si fondano sul dialogo tra gli Stati e l’amicizia tra i popoli.

In quelle stesse zone che furono, nella prima metà del Novecento, teatro di guerre e di fosche tragedie, oggi condividiamo, con i nostri vicini di Slovenia e Croazia, pace, amicizia e collaborazione, con il futuro in comune in Europa e nella comunità internazionale”.

Fonte: https://www.quirinale.it/elementi/44205

 

La storia del confine orientale d’Italia: un laboratorio storico-politico.

 

“La storia dei territori al confine orientale d’Italia costituisce una sorta di laboratorio in cui si trovano condensati su di una scala geograficamente circoscritta alcuni dei grandi processi della contemporaneità: contrasti nazionali intrecciati a conflitti sociali, effetti devastanti della dissoluzione degli imperi plurinazionali che per secoli avevano occupato l’area centro-europea, regimi autoritari impegnati ad imporre le loro pretese totalitarie su di una società locale profondamente divisa, scatenamento delle persecuzioni razziali e creazione dell’universo concentrazionario nazista simboleggiato dalla Risiera di San Sabba, spostamenti forzati di popolazione secondo la logica della semplificazione etnica, conflittualità est-ovest lungo una delle frontiere della guerra fredda”.

(Fonte: IRSML, https://www.irsml.eu/istituto/istituto-storia-nascita)

 

Le vicende del confine orientale e il mondo della scuola.

 

La crisi adriatica: le radici delle conflittualità nazionali.

 La storia della crisi adriatica non comincia con la fine della Prima Guerra Mondiale. Le tensioni erano di lunga data. Possiamo ripercorrerle nelle schede riguardanti i confini, i conflitti nazionali, l’irredentismo italiano e quello sloveno e croato, a cura dell’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia (IRSREC FVG).

Il “fascismo di confine”.

Già al tempo della dominazione asburgica, i contrasti etnici in queste regioni si erano andati stratificandosi su diversi piani:

  • quello nazionale, in quanto gli italiani volevano unirsi al regno sabaudo,
  • quello politico-economico, in quanto alla tendenza conservatrice degli italiani si contrapponeva la volontà innovatrice degli slavi,
  • quello geografico-sociale, tra una popolazione italiana perlopiù urbana e quella slovana e croata in prevalenza rurale.

A Trieste il fascismo trova un terreno fertile, in cui la propaganda antibolscevica si salda a quella contro lo slavismo, secondo la definizione di “fascismo di confine”, scelta sin dal 1919 dal fascio triestino. Il 13 luglio 1920 l’atmosfera incandescente accesa da un comizio fascista, gruppi di dimostranti si dirigono verso vari obiettivi slavi presenti nella città di Trieste, tra cui il grande edificio del Narodni Dom (Casa del Popolo), che era la sede delle organizzazioni degli sloveni viene incendiato, secondo quello che lo storico Renzo De Felice ha definito “il vero battesimo dello squadrismo organizzato”.

L’avvento del fascismo in Italia portò rapidamente a un peggioramento della situazione degli sloveni e dei croati del confine orientale.

Il regime fascista varò numerosi provvedimenti tesi alla snazionalizzazione delle minoranze presenti sul territorio italiano, quali: l’italianizzazione dei cognomi, la proibizione dell’uso dello sloveno e del croato nell’insegnamento, la chiusura sistematica delle scuole di lingua slovena e croata, la soppressione di centinaia di associazioni delle due minoranze.

 

Le foibe.

Letteralmente, “foiba” deriva dal latino fovea che significa “fossa, cava, buca”. Le foibe, infatti, come le doline, sono caratteristiche del paesaggio carsico istriano. Vengono originate dall’azione corrosiva dell’acqua sulle rocce calcaree, massicciamente presenti sul territorio.

Poco visibili all’esterno (con aperture di pochi metri), le foibe sono voragini rocciose irregolari che si sviluppano all’interno del sottosuolo, fino ai 300 metri di profondità.

Le foibe, in origine, venivano utilizzate come vere e proprie discariche, nelle quali veniva gettato ciò che non serviva più: carcasse di animali, derrate alimentari avariate, sterpaglie, macerie.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, si diffuse il verbo infoibare, col significato di “gettare o seppellire in una foiba, ammazzare una persona e gettarne il cadavere in una foiba o farlo morire gettandolo in una foiba”. Tra il 1943 e il 1945, infatti, le foibe erano divenute grandi fosse comuni per esecuzioni sommarie collettive.

La maggior parte degli infoibamenti ebbe luogo in due periodi distinti.

1) Dopo l’armistizio (8 settembre 1943 – 13 ottobre 1943). Nei quaranta giorni successivi all’armistizio firmato da Badoglio (8 settembre 1943), la Venezia Giulia, lasciata indifesa dai soldati italiani allo sbando e non ancora sotto il controllo dei tedeschi, divenne facile preda dei partigiani slavi.

2) Dopo l’occupazione di Tito (1 maggio 1945 – 10 giugno 1945). Nei quaranta giorni dell’occupazione ad opera dei comunisti di Tito (primavera del 1945), nella zona di Trieste e Gorizia il fenomeno degli infoibamenti segnò il suo apice.

 

I Trattati di pace e l’Esodo.

 

 

Con il Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 fu sancita la cessione di buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito e la creazione del Territorio Libero di Trieste (T.L.T.), suddiviso in due zone: la «Zona A» sotto amministrazione militare angloamericana e la «Zona B» sotto amministrazione militare jugoslava. Pola, Fiume, Zara e gran parte dei territori di Gorizia e Trieste furono assegnate alla Jugoslavia al termine di un contenzioso che comunque avrebbe avuto degli strascichi ancora per molti anni.

Per gran parte degli abitanti della Venezia Giulia, il cambio di sovranità tra Italia e Jugoslavia fu traumatico e portò all’esodo di una frazione consistente della popolazione.

Centinaia di migliaia di italiani scelsero di abbandonare le proprie case per trasferirsi oltre confine e comunque per vivere in un Paese occidentale.

 

Furono oltre 140 le strutture che accolsero in Italia, a più riprese, gli esuli giuliano dalmati: dai Centri Raccolta Profughi (C.R.P.) alle caserme dismesse, dalle scuole alle pensioni ed agli alloggi requisiti.

Gli esuli vi rimasero per lunghi periodi, talvolta anche per anni, in condizioni spesso di iniziale promiscuità e di estremo disagio, in attesa di una dimora più decorosa. Se molti enti locali e tante persone di buona volontà si prodigarono per aiutare i profughi, non mancarono casi di ostruzionismo che culminarono in autentica ostilità nei loro confronti.

 

I Centri Raccolta Profughi: il Centro di Padriciano.

 Dal 2004, Padriciano è sede della “Mostra permanente Centro Raccolta Profughi. Per una storia dei campi profughi istriani, fiumani e dalmati in Italia (1945 – 1970)”, allestita dall’Unione degli Istriani. Qui è possibile rendersi conto delle difficili condizioni di vita a cui per anni furono sottoposti gli esuli: vari nuclei familiari condividevano pochi metri quadrati, gran parte delle baracche era priva di riscaldamento e la circolazione era controllata dalla Polizia Civile posta all’ingresso dei campi.

Il Museo raccoglie fotografie, oggetti e masserizie appartenute a coloro che sono vissuti nel campo e presenta ai visitatori le ricostruzioni di alcuni degli spazi in cui si svolgeva la vita quotidiana.

 

“MAGAZZINO 18” uno spettacolo teatrale di Simone Cristicchi.

Il testo teatrale è stato scritto dal cantautore romano Simone Cristicchi e dal giornalista e fotografo Jan Bernas, con una coproduzione Promo Music – Il Rossetti, Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, per la regia di Antonio Calenda e con le musiche eseguite dalla FVG Mitteleuropa orchestra, diretta dal M° Valter Sivillotti.

Al Porto Vecchio di Trieste c’è un “luogo della memoria” particolarmente toccante: il Magazzino n. 18, che custodisce gli oggetti degli italiani d’Istria. Una sedia, accatastata insieme a molte altre, porta un nome, una sigla, un numero e la scritta “Servizio Esodo”; simile la catalogazione per un armadio e poi materassi, letti e stoviglie, fotografie, giocattoli, altri oggetti, altri numeri.

 

Destinatari

La Comunità Scolstica

Costi

Evento Gratuito

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